Le fotografie sono affascinanti perchè rendono tutto eterno, perchè fermano il mondo e te lo riconsegnano, uguale a come era, a distanza di anni....

Le fotografie sono affascinanti perchè rendono tutto eterno, perchè fermano il mondo e te lo riconsegnano, uguale a come era, a distanza di anni. Stuart Pearce, calciatore inglese degli anni ’80 e ’90, conosciuto anche con il soprannome Psycho, può essere raccontato con una sola, famosissima, foto. Un’istantanea dagli Europei del 1996, quelli ospitati proprio dall’Inghilterra per la quale Stuart giocava.

Inghilterra e Spagna sono arrivate ai calci di rigore, e sul dischetto si presenta Stuart Pearce. Wembley, il tempio del calcio, un santuario per qualsiasi suddito di sua Maestà, trattiene il fiato, a lungo. Sui giocatori inglesi c’è il peso di una nazione intera, sulle spalle di Pearce pesa anche il rigore sbagliato nella semifinale di Italia ’90, contro la solita maledettissima Germania.

Con tutti questi pensieri in testa, Psycho si presenta sul dischetto, e insacca il pallone alle spalle di Zubizarreta. Un sinistro forte, all’angolino, uno di quei rigori senza fronzoli, da difensori. Imparabile. Stuart si ferma un attimo, si guarda intorno, e poi si lascia andare ad un’esultanza che sarà immortalata appunto in una fotografia simbolo del calcio anni Novanta inglese.

Un urlo liberatorio, a tutta voce. Un “come oooooon” che sembra infinito, disperato, senza fine. Almeno quanto il successivo “fuuuuuuck!”. Pearce diventa violaceo in faccia, si gonfiano le vene, gli occhi spiritati. Psycho, proprio. Stuart Pearce, in una foto, è questo qui.

Poi, il calcio sa essere davvero malandrino: l’Inghilterra abbandonerà gli Europei perdendo in semifinale proprio dalla solita, maledetta, insopportabile Germania. Ma questa è una storia diversa, questa è la storia di Stuart Pearce. Uno che in campo aveva sempre un’espressione da guerriero, con quegli occhi che sembravano essere sempre sul punto di decollare fuori dalle orbite. Un’espressione che gli è costata appunto il soprannome di Psycho.
“I will do whatever it takes to win a football match”
Farò tutto quello che è necessario, per vincere una partita di calcio. Una sorta di machiavellico fine che giustifica i mezzi. E già, perchè per un difensore, tutto sommato, c’è solo una cosa che conta: proteggere la propria porta. Anche a costo di fare qualcosa di cui non si andrà poi molto fieri.

Proprio per questo quella sera del 17 Novembre 1993, nella quale Psycho entrò nella storia del calcio dalla parte sbagliata, non deve essere stata proprio la migliore della sua carriera. Siamo a Bologna, si gioca San Marino-Inghilterra, gara valevole per le qualificazioni ai Mondiali del 1994. Calcio d’inizio, San Marino perde immediatamente palla. Stuart Pearce ne entra in possesso, retropassaggio verso Seaman.

Troppo corto, si inserisce Davide Gualtieri, all’epoca 22enne puntero della nazionale di San Marino, che insacca in rete. 1-0 per San Marino, sono trascorsi 8 secondi e 33 centesimi, è il gol più veloce della storia delle qualificazioni mondiali. E a Stuart Pearce la cosa non è mai andata giù. Anche perchè, nonostante la vittoria per 7-1 in quella partita, la nazionale dei Tre Leoni ai Mondiali non si qualificò.

Pearce ha rappresentato il prototipo del difensore da Premier League, icona di un calcio fisico, al limite del pestaggio. Interventi sempre al limite del fallo, se non oltre. Ma dentro di sè la consapevolezza di star facendo null’altro che il proprio dovere. Icona anche di una squadra, bandiera di quel Nottingham Forest che tanto ha fatto per la storia del calcio britannico ma che oggi non se la passa poi tanto bene.

Per il Nottingham Forest Stuart ha giocato sempre con il cuore, sempre col suo caratteristico temperamento sanguigno. D’altronde, se nasci come allievo del leggendario Brian Clough in persona, non puoi fare diversamente. Se nasci come elettricista, e al calcio non pensi subito come una fonte di guadagno, ma come un amore incondizionato, non puoi che giocare nell’unica maniera a te congeniale. Con il cuore in mano. Chiuderà la carriera tra Necastle, West Ham e Manchester City, ma il suo nome resta indissolubilmente legato a quello del Forest.

Stuart Pearce era un personaggio del tutto unico ed inimitabile. Ad incontrarlo fuori dal campo è schivo, timido, riservato. Poi, come succede a tanti di noi ogni domenica che mettiamo le scarpe con i tacchetti, in campo si trasforma. Un agonista come pochi se ne sono visti sulla faccia della terra.

Un uomo in mezzo ai bambini“, come raccontava di lui Roy Keane, per cercare di spiegare il carisma che Psycho esercitava su compagni e avversari sul rettangolo verde. D’altronde non puoi segnare 63 reti in 10 anni, da difensore, se non ci metti anche quello che non puoi mettere. Se non ti danni l’anima fino a rischiare di lasciarci la pelle ogni volta che ti allacci le scarpette.

Un carisma che a volta andava anche oltre i limiti: come quel famoso pomeriggio del 1994, contro lo United, quando dalla sua bocca partì la famosa “race storm”, una sequela interminabile di insulti razzisti verso il centrocampista del Manchester Paul Ince. Un comportamento per il quale Stuart chiese poi scusa, ma che resta a imperitura memoria a far capire cosa possa passare per la testa di un giocatore in quei 90 minuti. Quando si chiude la vena e scende in campo la parte più irrazionale di noi, forse, sotto sotto, quella più vera.

In giro, i primi anni di carriera di Pearce vengono descritti con una semplice quanto intraducibile espressione inglese: full blooded days. Giorni pieni di sangue, insomma. Giorni in cui tirare indietro la gamba era difficile. Anzi, impossibile. Perchè quando sei Stuart Pearce, puoi fare solo e soltanto una cosa, quella che da te tutti si aspettano: essere Stuart Pearce.

Valerio Nicastro
twitter: @valerionicastro

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