C’è una carriera, una storia, che somiglia ad un romanzo. Per la statura del personaggio, per le vicende contenute all’interno. Per le passioni e...

C’è una carriera, una storia, che somiglia ad un romanzo. Per la statura del personaggio, per le vicende contenute all’interno. Per le passioni e i sentimenti che ci girano intorno. Per le parole che si sono spese per lui e continueranno a spendersi. Per l’affetto, l’ammirazione, l’amore dei tifosi. Si, l’amore, perchè questo romanzo è anche una grande storia d’amore.

Una storia di salite, discese, risalite, nuove discese. Su e giù, come i punti dell’elettrocardiogramma di un cuore che batte all’impazzata. Un cuore che batte forte, forte, forte, al ritmo delle pennellate e delle magie di un campione che risponde al nome di Alessandro Del Piero. Una storia che non può lasciare indifferenti, che parla di emozioni e di sentimenti. Di tradimenti e di rimpianti. Di gioia e di dolore.

La storia di Alex Del Piero parte da San Vendemiano il 9 novembre del 1974, e ben presto il ragazzo se lo ritrovano in strada, ovviamente con un pallone tra i piedi. Un pallone attaccato ai piedi di quel ragazzo esile, piccolino, che però ci sa fare. Più di tutti i suoi compagni, più di tutti quelli passati per quelle parti. Il talento, quello vero, non ha bisogno di essere spiegato. Il talento del piccolo Alessandro lo vedono in tanti, e nel 1988 il Padova è la squadra più veloce a capire che quel ragazzino riccioluto farà strada, e lo porta nelle sue giovanili. Non ci vorrà molto perchè qualcuno di importante si innamori a prima vista di quel piede. Ed è la Juventus a battere la concorrenza delle altre squadre che vogliono accaparrarselo.

Anche a Torino capiscono da subito con chi hanno a che fare. Il 12 settembre del 1993, a Foggia, Penna Bianca, Fabrizio Ravanelli, lascia il posto al giovane compagno per l’esordio in A. E sette giorni dopo, Alex metterà a segno il primo gol con la maglia bianconera, quello del 4-0 alla Reggiana. Roba da predestinato. Roba da campioni. E’ l’inizio della lunga storia d’amore tra Alex e la Vecchia Signora. Ma il meglio sta per arrivare. Nel 1994 arriva Marcello Lippi sulla panchina della Juventus, e Del Piero entra stabilmente in prima squadra. Davanti a lui c’è un altro numero 10, il numero 10: Roberto Baggio, oltre a Ravanelli e Vialli. Il Divin Codino però si fa male e lo spazio per Del Piero è sempre di più. E se lo conquista a suon di colpi magici, quei colpi che fanno innamorare il pubblico. Perchè dimostrano che Alex Del Piero sarà un calciatore speciale, uno di quelli in grado di tirare fuori una magia dal cilindro nel momento decisivo del match. Come il 4 dicembre del 1994, quando al Delle Alpi la Fiorentina sta vincendo per 2-0. Vialli pareggia in due minuti, ma la firma indelebile sul match ce la mette Alex. Pallone che spiove dall’alto, Del Piero si inventa un tocco che allo stesso tempo è morbido ma letale. Delicato ma preciso, un pallonetto a incrociare che scavalca Toldo e regala un’emozione da togliere il fiato ai tifosi bianconeri. Sarà la prima, non sarà l’ultima.

Da quel momento, le magie si moltiplicano, compaiono all’improvviso. Ale entra nel cuore dei tifosi e diventa in poco tempo il padrone della squadra. Ale è giovane, ma ha già l’indole del trascinatore silenzioso. Con i suoi colpi che sembrano pennellate, in campo fa innamorare i tifosi, fuori dal campo è il classico ragazzo che piace alle figlie ma anche alle mamme. Dolce, sicuro, uno di quelli dei quali ti puoi fidare ciecamente. Diciamo che però, anche in campo, con quel piede, ne fa innamorare più di qualcuno. Al Westfalen Stadion di Dortmund nasce “il gol alla Del Piero”. Sono pochi i campioni che possono vantarsi di avere un marchio di fabbrica del genere. Ale che parte dal vertice sinistro dell’area di rigore, si accentra, una, due, tre finte, e la palombella che arriva, dolce e spietata, ad accarezzare l’angolino opposto della porta. Non si contano le vittime cadute sotto i colpi del “gol alla Del Piero”.

Nel 1996 arriva la consacrazione europea, con la Coppa dei Campioni vinta nella finale di Roma. E poi, Alex, qualche mese dopo, decide che è giunto il momento di prendersi il palcoscenico. Le luci di Tokio sono tutte per i due numeri 10. Del Piero e Ortega. Juventus e River Plate. A imporsi è il 10 bianconero, che decide la sfida con un gol alla fine del match, un siluro a incrociare che si insacca nell’unico angolo visibile della porta dei Millionarios. E’ il primo, grande, apice della carriera di Alex Del Piero. I primi sobbalzi del cuore, dell’elettrocardiogramma che schizza verso l’alto. Seguiranno le prime cadute. Le due finali consecutive perse. Contro il Borussia Dortmund Ale firma il malinconico gol della bandiera. E’ un gol di una bellezza struggente. Un colpo di tacco inventato dal nulla, una meraviglia che però non vale nulla.

L’anno successivo, è quello della consacrazione vera e propria. 21 gol in campionato. Una coppia devastante con Pippo Inzaghi. 21 gol, l’ultimo, decisivo, nella famigerata sfida contro l’Inter. Quella del contatto Iuliano-Ronaldo, del rigore sull’azione successiva che proprio Del Piero si farà parare. E qualche settimana dopo, la Juve perderà anche la finale di Champions, beffata dal gol di Mijatovic in fuorigioco. Su e giù. Gioie e dolori. Successi e sconfitte. Ma Ale, mentre nell’estate del 1998 deve affrontare ancora un dolore, un’eliminazione con la Nazionale (con l’Italia intera schierata con Roberto Baggio) ai rigori con la Francia, ancora non sa che quello che arriverà in autunno sarà il peggio. Il picco verso il basso.

La stagione 1998-99 è iniziata da poco. E Alex Del Piero sembra lanciato con la sua Juve verso altri successi. Ma allo stadio Friuli di Udine c’è una trappola che lo attende. Ale va via, sulla fascia, a modo suo. Poi si ferma. Un contrasto. Cade a terra, alza immediatamente il braccio. Tutto lo stadio trattiene il fiato. Ale si contorce dal dolore, esce in barella, con una coperta addosso e le mani in faccia. Si capisce subito che è qualcosa di molto grave. La diagnosi sarà anche peggio. Rottura del legamento crociato e del collaterale del ginocchio sinistro. Praticamente tutto da ricostruire. Insieme al ginocchio del suo trascinatore, va in pezzi anche la stagione bianconera, quasi come se senza di lui la Vecchia Signora abbia perso l’anima. Lippi lascerà dopo la sconfitta col Parma, la squadra chiuderà il campionato in maniera anonima.

La carriera di Alex Del Piero, che sembrava destinata ai trionfi più grandi, all’Olimpo del Pallone, sembra essersi inabissata. Ritorna in campo, ma pare essere il fantasma del Del Piero ammirato fino al momento dell’infortunio. Sembra aver smarrito la via del gol su azione, un gol atteso come l’arrivo del Messia. Sembra essere diventata una maledizione. E in effetti il 2000 è un anno terribile. Un anno in cui, all’ultimo respiro, Ale vede prima sfumare lo scudetto nel pantano di Perugia, poi il Campionato Europeo che sembrava già vinto. Anche per quei due palloni che non riesce a buttare alle spalle di Barthez con la partita ancora aperta. L’opinione pubblica gli butta addosso la croce. Alex Del Piero è diventato davvero Godot, per dirla con le parole di Gianni Agnelli. Sembra che non tornerà mai più.

Continua ad essere massacrato da infortuni di ogni tipo. Sembra essere nel bel mezzo di un tunnel, la luce non arriverà mai più. Poi, il 18 febbraio del 2001, Alex Del Piero ricomincia la sua corsa. E’ un momento terribile. Ha da poco perso il padre, e sul campo le cose continuano ad andare male. La Juve, al San Nicola di Bari, non riesce a vincere una partita che sarebbe fondamentale nella corsa scudetto. Carlo Ancelotti, che non ha mai smesso di credere nel suo campione, decide di mandare in campo Ale. Ale è assente. La testa è ancora allo squarcio nel cuore lasciato dalla morte del padre. Entra in campo, lo sguardo sembra lontano, altrove. Ma i campioni si vedono anche e soprattutto da queste cose. Ci mette molto poco a inventarsi un gol alla Del Piero. Una fuga sulla sinistra, una finta ubriacante sul difensore, lo scavetto sul portiere in uscita. E un’esultanza rabbiosa, come poche volte in vita sua. Lui che è sempre stato composto, controllato. Un’esultanza rabbiosa che sfocia nelle lacrime, le lacrime meritate di chi dalla vita sta ricevendo troppi colpi. Da quel momento, piano piano, Ale risale la china.

L’anno successivo la Juventus, nuovamente affidata a Lippi, torna Campione d’Italia, nella pazza giostra del 5 maggio. E quell’estate Ale firma un gol importante ai Mondiali contro il Messico, prima di andare a sbattere contro Byron Moreno. L’anno dopo la Juventus vince ancora lo scudetto, ma fa anche strada in Champions. Alex segna il gol del vantaggio contro il Real Madrid nella semifinale, quello che spiana la strada al successo. Un nuovo apice nell’elettrocardiogramma. Un nuovo punto verso l’alto, seguito, subito, da una ripida caduta nella notte di Manchester, con i beffardi rigori che premiano il Milan. Su e giù, gioie e dolori, vittorie e sconfitte. Su e giù, un’altalena per cuori deboli. Ma chi emoziona, chi fa delle emozioni la sua vita, è preparato.

Sulla panchina della Juve arriva Fabio Capello, e saranno, ancora una volta, soddisfazioni a corrente alternata. La Juve sembra una macchina invincibile, ma Alex si sente di troppo. Capello preferisce far giocare Ibra e Trezeguet, Capello che vede, forse, il numero 10 come una presenza ingombrante. I tifosi non permetteranno mai un suo accantonamento. E d’altronde come fai? Alex, però, trova il modo di essere decisivo. L’8 maggio 2005 la Juventus si assicura lo Scudetto (almeno fino all’intervento di Calciopoli) con un gol di Trezeguet propiziato da una strepitosa rovesciata di Alex, che, in uno spazio e un tempo ridottissimi, si inventa un colpo difficile anche solo da immaginare.

Il 2006 è un anno particolare. Un anno in cui si alternano, come sempre, tutte insieme, fortune e sfortune, gioie e dolori. La Juventus vince uno scudetto che, negli almanacchi, non troverà posto, per la vicenda Calciopoli di cui sopra. E, in estate, c’è un Mondiale in cui Del Piero non dovrebbe recitare un ruolo da protagonista. Ma in panchina c’è il suo allenatore del cuore, Marcello Lippi. E Ale lo ripaga con una partita di grande sofferenza contro l’Australia. E, soprattutto, con due reti fondamentali. La prima è quella del 2-0 alla Germania, quella cavalcata da 70 metri con il pallone in goal e la corsa matta che continua, verso Berlino. La redenzione per gli errori di Rotterdam. La seconda, il rigore nella serie decisiva di finale. L’apice, stavolta, è il tetto del Mondo. Ma siccome questa è una storia di ascese e cadute, da Berlino si passerà direttamente alla B.

Lui corre 70 metri mentre nella notte afosa la partita sta finendo. E quando arriva al limite dell’area urla di farsi dare quel pallone. E Gilardino non può non darglielo. E lui ha già fatto gol prima di ricevere. E fra qualche minuto correrà verso un luogo dove lui crede ci sia sua moglie Sonia, e le sta urlando tutto quello che vuole dirle, che quel gol l’ha fatto per se stesso, per la sua vita, per la sua famiglia, per tutti quanti…per noi.

Federico Buffa racconta Alex Del Piero

Il Capitano non lascia la barca che affonda. Si prende le sue responsabilità e si cala nel palcoscenico della cadetteria, da campione del Mondo. E’ questo il momento in cui conquista, indelebilmente, un posto nella storia della Juventus. Diventa il simbolo della Vecchia Signora, il leone indomito che non molla il suo amore nemmeno nella notte più buia. E’ capocannoniere in B, sarà capocannoniere in A anche nella stagione successiva. La Juve, trascinata dai gol del Capitano, diventato ormai indiscutibile bandiera, torna in Champions. Del Piero si toglie la soddisfazione di farsi applaudire da tutto il Santiago Bernabeu. Ma la Juventus fatica a ritornare ai posti in cui era abituata a navigare. La vetta è solo un lontano ricordo di tempi che furono e non torneranno. Ale sembra rassegnato a chiudere la carriera così.

Finchè, sulla panchina bianconera, arriva Antonio Conte. Alex è all’ultimo giro di giostra in maglia juventina. Lo sa, lo sa già. Perchè l’anno prima ha firmato un contratto in bianco, segno di fedeltà, ma non è un contratto a vita. La Juventus, a sorpresa, ritorna Campione d’Italia, con un campionato straordinario. E c’è, per l’ultima volta, lo zampino di Pinturicchio. Con la punizione all’ultimo respiro che stende la Lazio e lancia la Juventus verso il titolo. L’ultima di Ale allo Juventus Stadium è da commozione. La partita con l’Atalanta è un inutile orpello. Gli applausi, ma soprattutto le lacrime, sono tutte per lui. E, se nel calcio emozionare è facile, far gioire è complicato, bè, far piangere è degno solo dei più grandi. Piangono i grandi, i bambini, le intere generazioni cresciuti, per 19 lunghi anni, insieme ad Alex Del Piero.

Lui, però, di fermarsi non ne vuole sapere. Diventa un ambasciatore del calcio, sempre con il sorriso addosso, sempre vivendo il calcio come un meraviglioso gioco. Il gioco più bello del mondo. L’Australia, l’India. Qualcuno storce il naso, qualcuno dice che la Juventus si è comportata male, che avrebbe dovuto chiudere la carriera in maglia bianconera. Ale non si sbilancia, risponde che le cose dovevano andare così. Che si può continuare ad essere innamorati anche senza essere per forza insieme. E forse è davvero così.

Oggi, a 40 anni, Alex Del Piero continua ad essere il manifesto ideologico di una generazione di juventini cresciuti insieme a lui. Generazioni che hanno pianto, sofferto, che, soprattutto, si sono lasciati emozionare. Una vita vissuta nel segno dell’amore.

Perchè chi ama Alex Del Piero lo farà solo e soltanto in un modo: incondizionatamente.

Valerio Nicastro
twitter: @valerionicastro