Un pomeriggio come tanti
Blog Gennaio 15, 2015 delinquentidelpallone
Un pomeriggio come tanti. La scuola chiusa, con la catena. Un pomeriggio come tanti. Illuminato da un sole che non vuol sapere di andare via prima delle otto. Un pomeriggio come tanti. Con l’estate che sta per finire, la scuola che sta per riaprire, il sole che vuole andare via sempre prima.
Tua madre che ti dice che non puoi uscire prima delle cinque. Sotto il sole delle quattro non ci puoi stare, fa troppo caldo. Tua madre che ti dice che non puoi uscire senza la maglietta della salute, quella bianca. Poi ti ammali. Tua madre che ti dice di tornare per cena. Non puoi lasciare raffreddare la cena, non puoi far arrabbiare papà. Poi, arrivano le cinque, anche oggi. Anche oggi, può finalmente cominciare la giornata. Al diavolo il sole delle quattro, la maglietta della salute e la cena. Al diavolo papà, ma con responsabilità, che ci vuole rispetto. Apri la porta dello stanzino, gli occhi che ti brillano. Lui ti aspetta lì, fedele. Lui ti aspetta lì, non si è mai mosso. Lui ti aspetta lì, non vede l’ora di essere preso a calci, di essere lanciato in area verso il sole che alle cinque fa un po’ meno male. Lui è arancione ed è il tuo migliore amico.
Scendi in strada, e ci sono loro. I tuoi amici di sempre, i tuoi compagni di scuola. Pronti a rimanere tuoi amici o a diventare i tuoi nemici fino al calar del sole. Pronti a vivere con te fantastiche emozioni, pronti a farsi prendere a calci sugli stinchi finchè non diventano viola. Arrivano tutti, sembra che non abbiano mai aspettato altro. Ogni pomeriggio atteso come se fosse la finale di Coppa dei Campioni, anche se ogni pomeriggio arriva esattamente come tutti gli altri. Arrivano tutti, non manca nessuno. C’è il tuo compagno di banco che nell’ora di matematica non sa fare 7×3, ma quando c’è da tirare sassate verso la “porta” avversaria sembra il Re del Mondo. C’è il secchione che sa a memoria tutto l’Infinito di Leopardi ma se c’è da correre appresso al pallone diventa incapace di mettere un piede dietro l’altro senza rischiare di franare rovinosamente a terra. C’è il figlio del portiere del palazzo, un cubo di un metro per un metro e ottanta chili, che si accomoda serenamente tra i pali, ereditando prima del tempo il mestiere del papà. Ci sono tutti.
La conta, il bimbumbam, il pari e dispari, i capitani. Le squadre, sempre uguali, alla fine. Ognuno ha i suoi protetti. La scelta del campo. Vogliono attaccare tutti verso il garage, non verso i due mattoni messi in terra. Quando si attacca verso il garage si possono fare i tiri a giro, si può mirare all’incrocio dei pali. Quando si attacca verso i due mattoni messi in terra, quando si segna bisogna iniziare a correre come matti per non far scendere il pallone dalla discesa. Alle sei e mezza arriva il padrone del garage, nel suo Fiorino bianco. Inizia a suonare il clacson, noi non smettiamo di giocare. Scende, ingiuria gli astri del firmamento, alza la saracinesca, mette a posto il Fiorino bianco, ci promette tante di quelle botte che la metà basterebbero, se ne torna a casa a riposarsi dalla giornata di fatica. Noi perdiamo il conto dei gol, ci tiriamo calcioni, ci insultiamo le mamme, ci strappiamo le magliette, ci sbucciamo le ginocchia.
Fino alla tragedia suprema. Fino al momento più temuto della tua breve esistenza. Fino all’istante più terribile, l’incubo di tutte le notti. Il tuo amico arancione che rotola, sempre più forte, verso il disastro. Un rumore sordo, il tuo amico arancione che smette di rotolare. Incastrato tra quattro ruote e una marmitta. Non respira il tuo amico arancione. Chiede aiuto. Tu e i tuoi amici, tutti chini, tutti a prendere atto del dramma. Le gambe che si infilano sotto l’automobile, le mani che fremono ma non arrivano a toccarlo. Lui è lì, immobile. Sta incominciando a perdere la sua forma. Poi, un piedino arriva, ce la fa, lo tocca una volta, due, tre, dieci. Il tuo amico arancione esce da lì sotto. Sporco di grasso, meno rotondo di prima, più sgonfio. Rimbalza male. Ma è sempre lui, il tuo fratello minore, il tuo compagno di vita.
Poi il sole che cala, il cielo che si fa rosso. Una, due, dieci urla. Riconosci anche una voce che chiama il tuo nome. La cena è pronta. Domani sarà un’altra storia. Sempre la stessa.
Valerio Nicastro
twitter: @valerionicastro