Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: “Guai a voi, anime prave!Non isperate mai veder lo cielo:
i’ vegno per menarvi a l’altra riva
ne le tenebre etterne, in caldo e ‘n gelo.
Quali versi migliori, se non quelli tratti dal canto III dell’Inferno della Divina Commedia, potevamo scegliere per introdurvi a lui, all’uomo che più di ogni altro ha incarnato il ruolo di traghettatore delle anime dannate verso gli inferi? Canuto, sguardo perennemente verso l’orizzonte, o verso la riva se preferite, con un’ espressione imbronciata di chi ne ha visti passare tanti di cadaveri e non si scompone, nocche d’acciaio. Questo è Nedo Sonetti, il Caronte di Piombino.
In gioventù stopper di buon livello perchè, parliamoci chiaro, che ruolo pensavate potesse ricoprire guardandolo in una delle sue immutevoli espressioni nelle quali è ritratto in migliaia di foto? Solo una cosa poteva fare: asfissiare l’uomo più pericoloso della squadra avversaria e scortarlo finché decideva che, per quella domenica, era meglio desistere dal proprio proposito.
Bandiera della Reggina, in cui ha militato per cinque anni, dopo aver esordito nella sua Piombino ed esser passato allo Spezia, fino a chiudere precocemente la carriera a Salerno, per poi dedicarsi, finalmente, alla sua vera occupazione: un vascello da guidare in qualsiasi condizione climatica.
C’è chi lotta ogni anno per vincere il campionato, chi chiede rassicurazioni riguardo agli acquisti da effettuare, altrimenti non si siede nemmeno a parlare e poi c’è chi, per un motivo o per l’altro, è disperato e non sa più a quale santo rivolgersi. E’ su questi ultimi che fa breccia Nedo, su chi chiede solo una speranza a cui aggrapparsi. Ciò che lui chiede, invece, è molto semplice: un atto di fede. “Vi tirerò fuori, in qualche modo, e vi porterò a riva”. Qualcuno si fida, altri no. E’ il mondo del calcio o ,per meglio dire, era il mondo del calcio, quando ancora i fatti parlavano per allenatori e giocatori e non viceversa.
I fatti una volta contavano, oggi è importante essere ruffiani e avere l’aiuto di un procuratore o di uno sponsor. Fin quando ho allenato, il procuratore me lo sono sempre fatto da me.
Nedo è uno che viene da lontano, dai bassifondi della terra toscana che gli ha dato i natali e lo ha visto tirare i primi calci ad un pallone. La sua prima tappa da allenatore è Viareggio, a soli 33 anni, in serie D, dove inizia ad apprendere i trucchi del mestiere, che lo porterà a costeggiare tutta la penisola, da nord a sud senza distinzioni di sorta. Ovunque ci sia un mare in burrasca c’è la sua ombra che si staglia all’orizzonte, inquietante e rassicurante al tempo stesso.
Già, i fatti, ma come si è costruito questa fama di traghettatore? Bè, in realtà vi basterebbe andare sulla sua pagina di Wikipedia a controllare la colonna a destra sotto la voce “allenatore”: ventuno squadre diverse allenate, una cronologia in cui le abbreviazioni sub. (subentrato) e sos.(sostituito) la fanno da padrone.
Esperienze che vanno dalla serie C, nei primi anni di carriera, e si intersecano tra A e B, senza soluzione di continuità. Un solo anno sabbatico, nel ’92-’93, in cui ce lo immaginiamo disperso a remare per i campi più sordidi della penisola, alla ricerca di qualche anima dannata come la sua, che vedesse le sue stesse facce disperate, in cerca di salvezza.
Un unico denominatore comune, tra tutte queste esperienze, ossia il fatto di non avere mai allenato in una piazza che ambisse la vittoria nella massima serie. La sua massima aspirazione? Una salvezza da conquistare, con le unghie e con i denti.
Non è tipo da champagne Nedo Sonetti, no signori, è più uno di quei personaggi che si incontrano al bar con il bianchetto da un lato ed il giornale dall’altro, di quelli che a malapena alzano la testa se non per rivolgerti un cenno del capo, dal quale capisci come andrà la giornata.
Perché non è facile avere a che fare con Nedo, che pure nella sua carriera ha dovuto subire le angherie di presidenti pazzi e lunatici come Zamparini, Cellino o il presidentissimo Rozzi, per citare solo i primi tre che ci vengono in mente.
Lavorare con loro (Cellino e Zamparini n.d.r.) è un po’ come darsi una martellata sui coglioni.
Nedo è un uomo di altri tempi, schietto e diretto, altri valori che ben poco avrebbero da spartire con il calcio che si gioca oggi. E non stiamo parlando dell’ansia da risultato ad ogni costo, con quella ci ha sempre dovuto fare i conti, facendoli spesso tornare peraltro.
Dentro lo spogliatoio lo raccontano come un uomo tutto di un pezzo, che lo sgarro va bene una volta ma la seconda sono ceffoni sul muso. Esagerati? Forse sì, però vi basterebbe scambiare quattro chiacchiere con l’attuale allenatore del Bologna, Roberto Donadoni, o l’ex allenatore dell’Udinese, Colantuono, entrambi suoi giocatori all’epoca. A loro dovreste credere.
Era un leader indiscusso. Ci trattava come oggi nessun allenatore potrebbe più trattare i suoi giocatori. Erano altri tempi… Io gli dò dei lei ancora adesso.
Giorgio Magnocavallo, ex calciatore.
Poi c’è l’aspetto motivazionale, perché quando sei alle prese con situazioni disperate probabilmente è già stato detto e provato di tutto. Allora non resta nient’altro da fare che entrare nella testa e toccare le corde giuste, perché dal “motivare” al “cosa avrà da dirci stamattina quest’altro cretino?” il passo è più breve di quel che si possa pensare. E così la barca affonda, come accaduto più di qualche volta.
Sono i rischi del mestiere, d’altra parte, per dieci volte che si approda sani e salvi a riva una volta ci si lasciano le penne. Con buona pace di chi crede nei miracoli. Con Nedo Sonetti l’unica cosa che conta è l’etica del lavoro, prima ancora della tattica e di tutti i discorsi che si possono fare sulla squadra, consapevole com’è che la semplicità può essere l’anima migliore per districare le matasse più ingarbugliate. In seconda istanza vengono le regole ferree, perché quando si è su una barca alla deriva la prima cosa da fare è remare tutti nella stessa direzione. In quest’ottica vanno viste la sua predilezione nei confronti dei ritiri post partita, tassativamente senza mogli e fidanzate al seguito, e la sua attenzione verso una condotta “modello” da parte dei suoi giocatori.
Per un certo periodo diventò un maniaco dell’alimentazione. Basta vino, basta questo, basta quello. E un bel giorno annunciò, solenne: “Da oggi basta carne rossa”. Tutti i giorni ci faceva mangiare il pollo, cucinato in tutti i modi. Dopo un po’ non ne potevamo più, stavamo diventando dei polli.
E’ un tipo strano Nedo, non dev’essere facile mettersi costantemente in discussione, anno dopo anno in piazze con storie e ambizioni così diverse. Un anno in lotta per la salvezza, quello dopo per la promozione. Sì perché qualcuno tende a dimenticarsi quello che noi, amanti del torbido, consideriamo il rovescio della medaglia, ovvero le sette promozioni all’attivo. Ciò che invece lo ha reso così dannatamente affascinante al nostro sguardo da sognatori incalliti è la fiducia che avevi al solo pronunciare il suo nome, annunciato sostituto di un allenatore alla deriva. Per noi voleva dire una sola ed unica cosa: una possibilità. Anche fosse una su cento, con Nedo Sonetti al timone non si era più spacciati, c’era sempre un piccolo varco aperto, una corrente da seguire e dalla quale farsi trasportare. Per noi dannati era così allora ed è così anche adesso. Ridateci Nedo, per una sola volta ancora.
Paolo Vigo
twitter: @Pagolo