Ci sono partite che restano nella memoria dei tifosi e non se ne vanno mai più. Il bello -o il brutto, dipende dai punti...

Ci sono partite che restano nella memoria dei tifosi e non se ne vanno mai più. Il bello -o il brutto, dipende dai punti di vista- è che non ci sarà mai un ricordo uguale all’altro. Nemmeno tra padre e figlio, nemmeno tra fratelli, nemmeno tra amici di una vita. Perchè certe partite sono eventi così eccezionali da poter dividere anche persone che nelle vene osservano scorrere lo stesso sangue.

Perchè una partita così storica, così attesa, così importante, è diventata il ricordo più bello della vita di qualcuno e l’incubo peggiore della vita di qualcun altro. Perchè quella di cui stiamo per parlare è una finale, ma non è una finale come tutte le altre. E non perchè è una finale di Champions League. Almeno, non solo per quello. Ma perchè questa finale di Champions League è quella del 28 maggio 2003, all’Old Trafford di Manchester. E’ la prima finale tutta italiana, è Milan-Juventus.
Il 2003 è l’anno d’oro del calcio italiano in Europa. L’Europa, come sempre, non ci vede di buon occhio. Gli spagnoli, in particolare, dalle pagine dei loro quotidiani e dai loro studi televisivi, continuano a vomitarci addosso le loro solite parole al veleno. Ci accusano di essere catenacciari. Ci accusano di giocare sporco. Ci accusano di essere brutti da vedere. E avrebbero anche l’opportunità di sbattercele in faccia, quelle parole, perchè in quella primavera del 2003, in semifinale una spagnola ci sarebbe pure. E’ il Real Madrid, i Galacticos blancos che hanno fatto collezione di figurine. Solo che, insieme alle Merengues, ci sono tre squadre italiane.

Le semifinali: Italia vs Spagna

La prima semifinale è Juventus-Real Madrid, l’altra è addirittura una stracittadina. E’ Milan-Inter. E’ il derby della Madonnina più importante di sempre, e si gioca su 180′. 180 minuti decisi dalla regola dei gol segnati in trasferta. 0-0 in casa del Milan, 1-1 in casa dell’Inter. Quanto è crudele, il calcio, quando ci si mette. Stessa città, stessa erba, stesse porte, stessa gente. Solo che, per l’Uefa, il ritorno fuori è in casa dell’Inter, per modo di dire. E così il pareggio, e le parate decisive di Abbiati, Santo per una notte, regalano il biglietto per la finale al Milan.

Dall’altra parte la Juventus perde 2-1 a Madrid nell’andata, e poi, al ritorno al Delle Alpi, sfodera una delle prestazioni più entusiasmanti della sua storia. Del Piero e Trezeguet segnano due gol strepitosi nel primo tempo, Buffon para il rigore di Figo che manderebbe la sfida ai supplementari, Pavel Nedved mette il sigillo a una stagione straordinaria con un gol dei suoi. Il 3-1 di Zidane vale solo per l’effimera gloria e per prendersi la soddisfazione del gol dell’ex. Ma è quello che succede a pochi minuti dal fischio finale a sconvolgere il pubblico bianconero. E, forse, a cambiare la storia del 28 maggio 2003. Pavel Nedved va a prendersi il cartellino giallo più stupido della storia. Crolla in ginocchio, la faccia tra le mani, la chioma bionda a nascondere il viso. Il ceco, il giocatore forse più in forma del momento, salterà l’ultimo atto della competizione. L’ultima messinscena perde uno dei suoi protagonisti principali. I bianconeri perdono uno dei loro eroi, quello in cui forse più di tutti confidavano per sconfiggere i rivali rossoneri. Ma per il momento, ai tifosi bianconeri non importa. Sono in finale, per la prima volta dopo quella maledetta volta nel 1998, proprio contro il Real. Il 28 maggio del 2003 per la Juventus sarà il giorno del riscatto, ne sono certi i tifosi della Vecchia Signora.

Il Teatro dei Sogni

Quando, in quella serata di fine maggio, Juventus e Milan si presentano in campo all’Old Trafford, ci sentiamo un po’ a casa, tutti. Il Teatro dei Sogni parla italiano, ci sono striscioni che comprendiamo, cori che possiamo distinguere. Ogni tifoso di Juventus e Milan sa che quella partita potrà essere la sua vittoria o la sua condanna. Ogni tifoso sa che se vince potrà sbattere quella Coppa con le orecchie enormi in faccia ai suoi amici che hanno nel cuore una striscia di colore diverso. Ma sa anche che se perderà, sarà costretto a sopportare il peso dell’umiliazione, sarà costretto a vedere i suoi avversari esultare e gioire a un passo da lui. Perchè, diciamocelo. Quando la tua squadra perde una finale di Champions League contro una squadra straniera tu puoi spegnere la televisione e uscire comunque a testa alta. Male che vada, staranno festeggiando in Spagna, in Germania, in Inghilterra. Ma tu eri lì, a rappresentare l’Italia. Ma ogni tifoso bianconero o rossonero, quel giorno, sapeva che se avesse perso avrebbe dovuto ascoltare i canti di gioia del nemico, i caroselli dei vincitori, proprio sotto la sua finestra.

Buffon, Thuram, Ferrara, Tudor, Montero, Camoranesi, Tacchinardi, Davids, Zambrotta, Del Piero Trezeguet. Dida, Costacurta, Maldini, Nesta, Kaladze, Seedorf, Pirlo, Gattuso, Rui Costa, Inzaghi, Shevchenko. Marcello Lippi da una parte, Carlo Ancelotti dall’altra. Suona l’inno della Champions League, potrebbe risuonare l’inno di Mameli, sarebbe uguale. Il Milan è in maglia bianca, quella dei successi europei del passato. La Juventus è nella classica divisa bianconera. L’ultima Champions i ragazzi di Lippi l’hanno vinta con la maglia blu con le stelle gialle, i più scaramantici hanno da storcere il naso. Ma, suvvia, lasciamo parlare il campo, facciamo rotolare il pallone.

Nervosismo

La partita è nervosa, tesa. Lo siamo noi sul divano a casa, come potrebbero non esserlo i 22 in campo? Dopo 9 minuti un primo lampo potrebbe squarciare la notte di Manchester, quando ancora in cielo c’è la luce del sole, ma il gol di Shevchenko viene annullato dal guardalinee per la posizione di fuorigioco di Rui Costa. In campo non si risparmiano gli scontri duri, nessuno toglie la gamba. Il Milan attacca, è più pericoloso. La retroguardia juventina soffre, ma dietro può contare su due mani sicure. Due mani che al 17′ volano in tuffo, come un angelo custode, a togliere dall’angolino basso la palla che Pippo Inzaghi aveva indirizzato, volando a sua volta, proprio lì. Gli juventini ringraziano San Gigi Buffon e asciugano le prime gocce di sudore sul volto.

Rui Costa non trova la porta per un soffio, poi ci prova anche Kaladze che trova le mani sicure di Buffon. Le uniche occasione degne di nota per la Juve la firmano David Trezeguet, che però non riesce a mettere la sua firma sul tabellino, e Ciro Ferrara, che si fa anticipare a un passo dalla porta dal suo collega Nesta. I primi quarantacinque minuti vanno via così, mentre Igor Tudor, infortunato, deve lasciare il posto a Birindelli. Marcello Lippi prova a cambiare l’inerzia della gara togliendo Mauro German Camoranesi, che sta sentendo sulle proprie spalle il fantasma di Pavel Nedved, che dovrebbe sostituire. Per sostituire il ceco servono spalle larghe e spirito da condottiero, oltre all’esperienza di centinaia di battaglie. Ed è per questo che dalla panchina non può che alzarsi Antonio Conte. E sarà proprio il futuro allenatore della Juve e della Nazionale a rendersi protagonista dell’azione più pericolosa dei bianconeri in tutta la partita.

Il secondo tempo e l’agonia dei supplementari

Sono passati 3 minuti dall’inizio della ripresa, e su una punizione di Del Piero, Conte spizza di testa e colpisce la traversa, Trezeguet non riesce poi a ribattere a rete. Stavolta sono i tifosi milanisti a ringraziare i loro Santi in paradiso. Il Milan accusa il colpo, la paura di perdere inizia a prendere il posto della voglia di vincere. Esattamente quello che succede nel cuore dei tifosi delle due squadre, a Manchester e a casa. Si fa male anche Edgar Davids, e Marcello Lippi deve buttare nella mischia Marcelo Zalayeta, l’eroe dalla vittoria juventina al Camp Nou. Anche Ancelotti deve fare i suoi 3 cambi, perchè qualcuno non ha più neanche un soffio di fiato da regalare alla causa. Escono Pirlo, Costacurta e Rui Costa, entrano Serginho, Roque Junior e Ambrosini. I 90 minuti regolamentari finiscono senza ulteriori emozioni. Servono altri 30 minuti di sofferenza per decidere chi si porterà a casa la Coppa dei Campioni. Per adesso, sappiamo solo quello che già sapevamo: che sarà una squadra italiana a vincerla.

Nei supplementari di gioco se ne vede poco. La stanchezza per i 90 minuti e per le tante battaglie stagionali si fa sentire. Roque Junior si fa male, il Milan però ha esaurito tutti i cambi. Ambrosini va a fare il terzino, la Juventus non riesce a sfruttare l’uomo in più per creare pericoli. 30 giri di orologio passano, e sui divani di tutta Italia, nelle piazze, nei locali, sembra che siano passate delle ore. Il tedesco Merk fischia tre volte, ma non si può andare a casa. Ci sono dei rigori da tirare.

I calci di rigore

Il primo a tirare sarà David Trezeguet. Lo farà sotto la curva occupata dai supporters bianconeri. Il francese si avvicina al dischetto con gli occhi carichi di paura e tensione. Accelera il passo come chi vuole togliersi un peso e tornare a respirare. Dida fiuta l’incertezza, si tuffa dal lato giusto, ma è un rigore che avrebbe parato anche il più scarso dei portieri. Un tiro lento, centrale. La Juventus parte ad handicap, il Milan si può già sentire più forte. Il piattone di Serginho spiazza la maglia rosa di Gigi Buffon, uno a zero per il Milan.

Il secondo rigorista della Juventus è Alessandro Birindelli, che calcia il classico rigore da terzino. Occhi chiusi, si sceglie un lato, la si tira forte sperando di non aver esagerato. Dida non può nulla, 1-1. Tocca a Seedorf. L’olandese sceglie bene il lato, angola il pallone bene ma non abbastanza. Il riflesso felino di Gigi Buffon è straordinario. Il portierone juventino vola dalla parte giusta, tocca il pallone e lo respinge lontano. Si torna in parità, dopo due calci di rigore.

Adesso tocca al Panterone, a Marcelo Zalayeta. L’uruguaiano si avvicina al dischetto con lo sguardo perso nel vuoto, nell’immensità di uno stadio che gli fa girare la testa. Deve aver sentito il peso di quel rigore proprio in mezzo allo stomaco, come un macigno. Prova a tirare una sassata centrale, che Dida riesce a intuire trattenendo il pallone all’altezza del bacino. Il rigore parato da Buffon è vanificato. Il Milan può tornare in vantaggio con il rigore di Kaladze. Ma Gigi Buffon non ha intenzione di mollare un centimetro, non vuole vedere i suoi sforzi andare in fumo. In qualche modo calamita il rigore del georgiano verso il suo piede e lo respinge. Si resta in parità. Buffon si aggrappa al palo, salta con il pugno alzato verso i suoi tifosi. Ci crede ancora. Ma per chi li vede da fuori, questi 3 rigori, sono un’altalena insopportabile di emozioni. Nessuno ha mai potuto gioire per davvero. Nessuno si è mai potuto liberare da quel macigno.

Ci viene voglia di spegnere la televisione. Smetterlo di seguirlo, questo calcio. Andare a letto, domani mattina chiedere, appena svegli, chi abbia vinto. Ma sappiamo già che non lo faremo mai. E infatti, pochi secondi dopo, stiamo già aspettando il rigore di Paolo Montero. E’ l’ennesimo rigore tirato male. Perchè Paolo Montero non è un rigorista. Qualche anno dopo, confiderà che quel rigore lo ha tirato solo perchè Marcello Lippi gli aveva chiesto se se la sentisse. E, immaginiamo, Paolo Montero la frase “Non me la sento” non l’avrebbe pronunciata neanche sotto tortura. Dida, intanto, respinge l’orribile penalty dell’altro uruguaiano. Si resta sull’1-1. Tocca ad un altro difensore, tocca ad Alessandro Nesta. Che non trema, sicuro, a testa alta come sempre nella sua carriera. Piazza il pallone all’angolino, Buffon alza la mano ma non può arrivarci. 2-1 per il Milan dopo 4 rigori. L’epilogo si avvicina.

I rigori decisivi

Alex Del Piero segna il suo classico rigore. Sicuro, deciso, senza esitazioni. L’unico sul quale forse i tifosi bianconeri avrebbero messo la mano sul fuoco. E’ l’ultimo rigore, quello affidato agli uomini più rappresentativi. Gli eroi designati, quelli pronti a prendersi la responsabilità del tiro più importante della loro carriera. E infatti, dopo Del Piero, si presenta sul dischetto un ucraino con gli occhi di ghiaccio. Le telecamere incrociano lo sguardo di Andriy Shevchenko. E’ lo sguardo di un killer. Freddo, lucido, concentrato sull’obiettivo. Concentrato sul pallone, sulla porta e sulla coppa. Sa già quello che deve fare. Il calcio si gioca con i piedi, ma noi, guardando in quegli occhi, non avevamo bisogno di sapere nient’altro. Guardando quegli occhi, in quella serata di Manchester, l’abbiamo capito subito che non ci sarebbe stato bisogno di nessun altro rigore.

Sheva guarda una volta a destra, una a sinistra, parte fulmineo. Buffon si butta dall’altra parte, il pallone entra in rete. Il Milan è Campione d’Europa. Shevchenko può correre ad abbracciare Nelson Dida, l’altro eroe della serie di rigori. Carlo Ancelotti può correre in campo, a braccia larghe, lui che dalla Juventus era stato mandato via perchè non ritenuto idoneo a quella panchina. Il Milan è Campione d’Europa e per i tifosi del Diavolo è forse il successo più bello, quello ottenuto contro i rivali in patria. La Coppa vinta in uno scontro fratricida all’ultimo respiro. La notte dell’Old Trafford non conosce mezze misure. C’è chi la ricorderà come un sogno, chi come un incubo. Ma resterà, per sempre, una notte storica per il calcio italiano.

Valerio Nicastro
twitter: @valerionicastro