“Sono un passionale, vivo il calcio a 360° e metto tutto me stesso, tante volte sto anche male perché ci metto troppa passione.“ Poche...

Sono un passionale, vivo il calcio a 360° e metto tutto me stesso, tante volte sto anche male perché ci metto troppa passione.

Poche parole, concesse ai microfoni delle emittenti televisive, proferite da Antonio Conte al termine di Crystal Palace – Chelsea. Ancora una vittoria, l’ennesima, l’undicesima di fila per eguagliare il record nella storia del Club londinese. Non si può non guardare a questa creatura di Antonio Conte con ammirazione, a prescindere dalla propria fede calcistica, indipendentemente da simpatie o antipatie per l’uomo o il personaggio.

Una squadra raccolta a pezzi, in estate, reduce dal decimo posto in Premier League, e da tre gestioni tecniche , senza che nessuna di queste fosse riuscita a trovare il bandolo della matassa.
Giocatori sfiduciati, Diego Costa ed Hazard su tutti, arrivati con lo status di fenomeni e pian piano sprofondati in una crisi psicologica, destinata a metterne in dubbio persino il loro reale valore.
Roman Abramovich non poteva tollerare un’altra annata del genere, aveva bisogno di qualcuno che, prima ancora di allenare, riuscisse a motivare un gruppo con il morale sotto i piedi.
Bisognava andare sul sicuro, altri errori sarebbero stati imperdonabili.

Antonio Conte, reduce dall’esperienza con la Nazionale italiana, in cui aveva dato ulteriore dimostrazione delle proprie abilità di motivatore, era indubbiamente l’uomo giusto a cui rivolgersi.
E così in effetti accade: Conte assume la guida tecnica dei Blues ed inizia il suo processo di trasformazione del Chelsea, con il fine ultimo di renderlo una creatura a propria immagine e somiglianza. Una squadra tosta, passionale, ovvero che sappia soffrire quando c’è bisogno, per poi lasciarsi andare senza inibizioni, in grado di andare sempre un gradino oltre quelle che sembrano poter essere le proprie possibilità.

Non è stato facile. Ci è voluto del tempo. Dio solo sa quanto Antonio Conte abbia sofferto, verso metà ottobre, quando davanti alle telecamere si presentava con un sorriso tirato a chi gli chiedeva come si sentisse , lui preso per raddrizzare la baracca e già in discussione dopo nemmeno due mesi di lavoro.

Io sono un lavoratore e questa è l’unica strada che conosco per tornare a vincere. L’unico verbo che conosco è lavorare, lavorare e ancora lavorare.

Lavorare sulla testa dei giocatori, in primo luogo, per farli sentire importanti e al centro del progetto tecnico. In secondo luogo sul campo, preparando tatticamente una squadra in grado di imporre il proprio calcio ma anche in grado, quando necessario, di sfruttare le debolezze altrui.

Secondo la visione del tecnico leccese non esiste un modulo da adottare per tutte le circostanze, come un abito, questo va cucito su misura a seconda dell’occasione.
Se ci si accorge che l’abito è sgualcito, non adatto, bisogna avere il coraggio di cambiarlo senza intestardirsi. Ed è proprio ciò che avviene quando il Chelsea, passando ad un 3-4-3 più congeniale alle caratteristiche della propria rosa, cambia definitivamente marcia.

https://twitter.com/chelskigifs/status/810112435747254273

Da allora sono, passate undici giornate, il ruolino di marcia dell’armata Blues è impressionante: undici vittorie, 25 gol segnati, 2 reti subite e 9 partite terminate con la porta inviolata.
I meriti di Conte, fin troppo evidenti, sono veramente tanti, troppi per elencarli tutti.
Dalla solidità difensiva ritrovata, grazie ad una saracinesca di nome Courtois, spesso chiamato ad un solo intervento decisivo durante la gara (avete presente il miracolo finale contro il Sunderland, no?), con un David Luiz che si sta esprimendo a livelli di attenzione forse mai raggiunti in carriera, ad un centrocampo camaleontico i cui interpreti possono svolgere sia compiti offensivi che aiutare in fase di ripiegamento con la medesima efficacia.

In mezzo al campo, probabilmente, si vede la vera impronta di Antonio Conte. Due pedine come Victor Moses e Marcos Alonso, considerati in estate poco più che marginali al progetto da quasi tutti gli addetti ai lavori, diventano imprescindibili in questa versione tattica del Chelsea. Con il nigeriano e l’ex viola spesso scalati scalati sulla medesima linea dei tre difensori, per coprirsi al meglio e sfruttare le ripartente mortifere, altra arma segreta (ma nemmeno troppo) di questo Chelsea. Matic in regia a fare da architetto, Kante chiamato a sdoppiarsi per il bene comune.

Davanti poi ci sono le invenzioni di Eden Hazard, giocatore assolutamente ritrovato e in grado di fare nuovamente la differenza, le accelerazioni di Pedrito e, per finire, la vera arma illegale a disposizione di Antonio Conte: Diego Costa.
Per capire cos’è diventato l’attaccante ispanico-brasiliano sotto la gestione Conte non bastano i numeri, ma nemmeno lontanamente.

Diego Costa sembra tornato quello dei tempi dell’Atletico Madrid, in cui, spronato dal Cholo, avrebbe ucciso per quella maglia, si sarebbe fatto in quattro, sporcato di fango anima e corpo per la conquista di un dannato pallone.

Provate a riguardare l’esultanza dopo il gol di testa di ieri, contro il Crystal Palace, se non vi sembra di vedere lo stesso giocatore che faceva impazzire il Vicente Calderon. La faccia sporca di fango, un taglio aperto sul viso e la maglia completamente sporca di terra. L’espressione incarognita con il mondo, quella no, l’ha sempre avuta e non gliela toglierà mai nessuno. Il calcio di strada elevato ad arte e portato alla sua massima espressione, questo è il Diego Costa che stiamo ammirando in questo scorcio di stagione.

Poi, certo, ci sono i gol, realizzati in tutte le maniere possibili immaginabili: da rapace d’area, di prepotenza, di precisione, di classe pura, di testa, di destro, di sinistro, il suo arsenale non conosce limiti.
Dopo quel siparietto con Conte, risalente a circa un mese fa, in cui l’attaccante sembrava volesse dire al tecnico “se non ti va bene come sono sostituiscimi” è scoccata la scintilla definitiva. Ad ogni gol realizzato i due si cercano, come avessero stretto un patto di sangue per un obiettivo comune chiamato Premier League.
Due così, concentrati, determinati, feroci, come solo Antonio Conte e Diego Costa sanno essere, sono la cosa più vicina alla garanzia di successo che possa esistere. L’ultima cosa che ti vuoi trovare contro, se sei un loro avversario.
Ora che la macchina da guerra si è messa in moto siete tutti avvisati e, se non volete rischiare di essere travolti, fareste bene a spostarvi.

Paolo Vigo
Twitter: @Pagolo