Gli Europei sono finiti da meno di una settimana e, in questa afosa e appiccicosa estate, già ci mancano da morire. Per cui, per...

Gli Europei sono finiti da meno di una settimana e, in questa afosa e appiccicosa estate, già ci mancano da morire. Per cui, per lenire la carenza d’affetto che ci pervade in questi oscuri giorni senza football, abbiamo deciso di fare un passo indietro e stilare la nostra top 11 delinquenziale e romantica della manifestazione.

Come sempre, non ci troverete i giocatori più forti del torneo, quelli che hanno fatto meglio, quelli che si sono distinti soprattutto per i meriti in campo. Certo, magari qualcuno di loro coinciderà. Qui, nella nostra top 11 delinquenziale, troverete i giocatori che ci hanno scaldato il nostro cuore di delinquenti, quelli a cui ci siamo affezionati, quelli che si sono contraddistinti per le loro gesta fuori dal coro.

Insomma, ecco a voi la Top 11 delinquenziale di Euro 2016.

Gabor Kiraly

In porta, nella nostra squadra, non può mancare per nessun motivo al mondo il portierone ungherese dotato di pigiama. Noi, non per vantarci, lo conoscevamo già da un bel pezzo, il resto del mondo fortunatamente si è accorto di questo idolo tra i pali.

40 anni, pantalone lungo perennemente addosso (un po’ per comodità, un po, soprattutto, per scaramanzia) e soprattutto matto come un cavallo: non si è fatto mancare escursioni fuori dai pali, giuochi di prestigio e rinvii del pallone abbastanza fantasiosi. La sua prestazione contro il Belgio, poi, tra i pali, tecnicamente parlando, è da incorniciare. Difficile trovare un portiere così reattivo a questa età.

La sua Ungheria ha fatto, forse, più del previsto passando il girone con Portogallo, Austria e Islanda, e ha fatto, nonostante il punteggio, anche bella figura agli ottavi di finale, come detto, contro il Belgio. Nel cuore di tutti, però, resteranno le parate e le follie del portiere ungherese che, forse, dopo questi Europei saluterà tutti, almeno per quanto riguarda le grandi manifestazioni per nazionali. Oppure no.

Ragnar Sigurðsson

Si, l’Islanda ci ha rubato decisamente il cuore durante questi Europei. Ma ci consoliamo pensando che, sinceramente, non l’hanno rubato solo a noi. Una nazione di 300.000 e dispari anime diventata il cuore d’Europa in questo mese, trascinando tutti al suono del battere delle mani del loro Geyser Sound.

E se l’Islanda è arrivata fino ai quarti di finale, superando un girone insidioso e poi sbattendo fuori, in pieno clima Brexit, anche l’Inghilterra, il merito è anche di Ragnar Sigurðsson, il centrale difensivo di cui ci siamo innamorati, che ha respinto ogni assalto verso la porta islandese (anche perché tra i pali gli amici nordici non avevano esattamente una sicurezza, diciamo così) con coraggio e perizia.

30 anni, una carriera onesta, oggi in Russia al Krasnodar. Ragnarone non era nessuno, prima di questi Europei, ha saputo conquistarsi la nostra fiducia a suon di battaglie e colpi di randello. Oggi, dovessimo difendere un fortino dall’assalto di malviventi di ogni sorta, no in mezzo ci metteremmo senza ombra di dubbio lui e soltanto lui.

Pepe

Potremmo mai tenere fuori dalla top 11 delinquenziale degli Europei un giocatore che è stato tra i nostri ispiratori principali, quello che potremmo senza ombra di dubbio definire uno dei padri spirituali del movimento della Delinquenza? No, non ci permetteremmo mai e poi mai.

In fondo, a voler vedere bene, l’amico Pepe ha fatto un signor Europeo, impeccabile: persino giocando accanto a gente come Ricardo Carvalho (buonanima), Bruno Alves e Josè Fonte è riuscito a non combinare neppure un guaio. Ah, e a farsi eleggere man of the match della finale di Saint-Denis, finale coronata con una scarica di vomito che ha lasciato il segno sulla psiche di parecchi.

Insomma, il nuovo Pepe è una persona matura, equilibrata e pacata. Dei lampi di delinquenza e di follia a cui ci aveva abituato rimane solo un lontano ricordo, ma noi, imperterriti, continueremo senza sosta a volergli un bene dell’anima, come fosse nostro padre. O forse di più. Vai, Pepe, vai.

Vedran Corluka

Non poteva rimanere fuori dalla nostra top 11 l’uomo più glamour di questi Europei: le immagini di Vedran Corluka coperto di sangue prima e ricoperto da una calottina in stile pallanuoto dopo averle provate tutte. Con tutto il sangue che ha perso nelle prime due partite di questi Europei, è già un miracolo che sia vivo, altro che.

In ogni caso, i suoi cinque turbanti cambiati nella partita d’esordio contro la Turchia sono diventati immediatamente l’immagine simbolo della spedizione croata a Euro 2016. Nonostante tutto, non ha voluto abbandonare il campo e non ha voluto sentire ragioni, dimostrando a tutti che l’attaccamento alla propria patria è qualcosa di sacro, da quelle parti.

L’avventura della Croazia è stata sfortunata: l’eliminazione subita dal Portogallo brucia ancora, visto che probabilmente, si rigiocasse altre 10 volte, se la porterebbero a casa sempre i croati. E quel palo grida ancora vendetta. Ma nel nostro cuore rimarranno, indelebili, le immagini di Corluka vestito come un pallanotista. Che cuore.

Leonardo Bonucci

La spedizione italiana era partita nella perplessità e nello scetticismo generale. Uno dei punti più discussi era stata l’assegnazione della maglia numero 10 che era poi finita, tra polemiche e sfottò, sulla schiena di Thiago Motta.

Bene, dopo aver visto le prestazioni del difensore della Juventus (che Guardiola sarebbe pronto a ricoprire di oro, argento e mirra per averlo in squadra) appare chiaro che c’è stato un errore di fondo: la maglia numero 10 doveva finire senza se e senza ma sulla schiena di Leonardo Bonucci. Il gol di Giaccherini contro il Belgio, quello che ha aperto trionfalmente il nostro Europeo, nasce da un lancio millimetrico di Leo, fatto con il telecomando.

Poi, per il resto, grande solidità difensiva e capacità di guidare il reparto, oltre, come detto, all’improvvisazione come regista. Ciliegina sulla torta il rigore perfetto nei tempi regolamentari (quello nella serie finale preferiamo dimenticarlo) tirato con grande freddezza contro la Germania. Imponente Leo.

Michal Pazdan

Se dovessimo fare il nome di un giocatore che ci ha stregato, di quelli poco reclamizzati alla vigilia, non avremmo dubbi e andremmo con lui, Michal Pazdan. Il pelato difensore polacco, in coppia col nostro idolo di sempre Kamil Glik, ha formato un muro difensivo veramente difficile da espugnare, mostrando buone doti in marcatura, anticipo e un animo da delinquente consumato che non può che fargli onore.

Se la Polonia è stata una delle difese meno battute del torneo, il merito è tutto della coppia di ceffi che ha protetto le spalle al pur ottimo Fabianski.

Pazdan gioca ora nel Legia Varsavia e se qualche squadra del nostro campionato fosse interessata ai suoi servigi è il momento giusto per farsi avanti. Occhio però a non avvicinarvi troppo, altrimenti un bel ceffone sul muso non ve lo leva nessuno. Ah, oltre al ruolo di difensore centrale può ricoprire quello di centrocampista o mediano davanti alla difesa con licenza di offendere, non necessariamente calcisticamente parlando.

Ricardo Quaresma

Ma che Cristiano Ronaldo e Cristiano Ronaldo. Se il Portogallo ha alzato questa maledetta coppa al cielo, il merito è tutto del Trivela. La vittoria contro la Croazia porta la sua firma, con il quasi golden gol segnato con una zampata da fuoriclasse, il peso dell’ultimo rigore contro la Polonia se l’è preso lui.

Insomma, amici cari, il Trivela paura non ne ha mai avuta, e, con quella faccetta da bravo ragazzo del vicolo, da amico di O’Track e Zingariell’, si è preso tutto lui. Immaginiamo che ora sul suo viso potrà comparire anche il tattoo della terza lacrima, un’altra vittima caduta sotto i suoi ferali e devastanti colpi.

Aggiungeteci pure il modo in cui si è presentato in semifinale e finale, con delle acconciature particolarmente indisciplinate che hanno catturato il nostro cuore. Nel momento in cui leggete, noi siamo in coda dal nostro barbiere di fiducia attendendo di poterci far disegnare una piuma dorata sulla cucozza. Icona di moda e stile, viva il Trivela, viva Iddio, viva il marcio.

Aron Gunnarsson

Poteva forse mancare il capitano dell’Islanda, autentica rivelazione dell’Europeo, nonché squadra culto per eccellenza? Assolutamente no, Aron Gunnarsson entra di diritto nella nostra top 11. Di lui abbiamo imparato ad apprezzare lo spirito di sacrificio e l’umiltà, la tenacia che alberga in un cuore che fa provincia, ci siamo infatuati alla prima partita e da lì è stato un rapido crescendo. Le sue rimesse laterali, improvvisi traccianti in grado di arrivare tesi ed insidiosi nel cuore dell’area di rigore, hanno risvegliato nei nostri animi passioni mai sopite, emozioni che avevamo parcheggiato accanto al bus di Stoke on Trent e che, finalmente, hanno ritrovato forma e colore.

L’immagine di Gunnarsson che, davanti alla sua gente in estasi, comanda e dirige il “Geyser Sound” è una delle immagini più belle che questo Europeo ci lascia in eredità, così come l’accoglienza trionfale di un popolo intero al rientro della squadra, sconfitta solo sul campo ma assoluta dominatrice in ogni altro aspetto.

Che il simbolo e capitano di questa favola sia un giocatore che milita nel Cardiff City, seconda divisione del calcio inglese, dice già abbastanza. Nella nostra squadra Aron Gunnarsson troverà sempre spazio, perché rappresenta tutto ciò che di più bello possa regalare questo sport.

Joe Ledley

Un’altra squadra rivelazione. il Galles, un altro giocatore culto, Joe Ledley. Se il Galles è arrivato fin dove è arrivato, piegato solo dal Portogallo che poi si è aggiudicato la competizione, è anche un po’ merito suo. E’ vero, Gareth Bale e le sue accelerazioni hanno spaccato in due le partite, Ramsey ha illuminato con le sue giocate le notti parigine e Joe Allen, bè come si fa a non voler bene ad uno che a cani e gatti preferisce 14 galline da accudire come animali domestici? Ditecelo voi.

Quello che però ci ha stregato più di tutti è il centrocampista barbuto ora in forza al Crystal Palace, uno che in campo non fa sconti a nessuno ma che, una volta terminata la partita, ha dimostrato di essere pazzo come un cavallo. I suoi balletti, in campo davanti ai tifosi ma soprattutto all’interno dello spogliatoio, hanno tenuto alto il morale della truppa e ci hanno fatto capire che razza di mente malata abbia il buon Joe e, di conseguenza, perché sia stato una pedina imprescindibile nello scacchiere di Coleman.

In mezzo a tanti artisti del fioretto un bel mazzuolatore seriale ci vuole sempre, ricordatevelo.

Will Grigg

Si, avete capito bene. Nella nostra top 11 delinquenziale di Euro 2016 c’è un giocatore che non ha giocato neppure un minuto della manifestazione, e che probabilmente non lo avrebbe giocato neppure in caso di disastro nucleare.

Eppure Will Grigg, l’attaccante nordirlandese del Wigan, è stato letteralmente sulla bocca di tutti per un mese e mezzo intero, e temiamo possa rimanerlo a lungo. Il motivo? Il coro dei tifosi del Wigan e poi adottato da quelli dell’Irlanda del Nord, e poi riadattato da tutte le tifoserie di questi Europei, o quasi: LALALALALALALALALA YOUR DEFENCE IS TERRIFIED, WILL GRIGG’SS ON FIRE.

Al suono di questa canzone hanno ballato, delinquito e soprattutto bevuto tutti i tifosi degli Europei. Fatevi un piacere: andate su Youtube e cercate il video dell’accoglienza dei tifosi nordirlandesi al ritorno in patria della squadra che è uscita agli ottavi di finale. Lui non ha giocato nemmeno un minuto, ma la standing ovation più grande è stata ovviamente la sua. Will Grigg resterà on fire per parecchio tempo.

Antoine Griezmann

Si, un attimo, non siamo impazziti. Pensateci bene, il capocannoniere degli Europei, in fondo, di delinquenziale ha parecchio. Innanzitutto è un baluardo del Cholismo, uno dei fedelissimi di Simeone che abbiamo imparato a conoscere e ad apprezzare soprattutto con la maglia dei Colchoneros, nelle tante sfangate che lo hanno visto protagonista.

Poi, in fondo, la sua storia è parecchio romantica. Lui, che è dovuto andare via dalla Francia a 14 anni perché ritenuto troppo basso, piccolo e gracile per sfondare nel calcio. Lui che i francesi li ha fatti sognare quasi fino alla fine, a un passo dal sogno.

L’Atletico Madrid, dicevamo: Griezmann, quest’anno, di finali pesanti ne ha perse due. Quella di Champions League a Milano, solo qualche mese fa, e quella di domenica scorsa. Entrambe contro un avversario non banale, Cristiano Ronaldo, che la coppa gliel’ha alzata davanti agli occhi per ben due volte.

Povero (piccolo) diavolo, che pena ci fa. Non poteva rimanere fuori dalla nostra top 11, anche per una sorta di risarcimento morale.