C’è un momento, nel secondo gol di ieri sera al Bayern, che condensa in un lampo cosa voglia dire essere Leo Messi. E’ il...

C’è un momento, nel secondo gol di ieri sera al Bayern, che condensa in un lampo cosa voglia dire essere Leo Messi. E’ il momento in cui la Pulce punta Boateng, mette il pallone da una parte, e poi lo sposta improvvisamente dall’altra. Lasciando il difensore per terra, come il più impedito dei dopolavoristi di terza categoria. Facendogli fare una figura da peracottaro, davanti a milioni di persone, sul palcoscenico più importante del calcio europeo. Ma tranquilli, non è Boateng che è un peracottaro. E’ Leo Messi che è un alieno. Poi c’è il surplus, lo scavetto, irridente, al portiere più forte del mondo. Ma quella è un’altra storia.

E’ in quel movimento che si condensa tutto quello che vuol dire essere Leo Messi. Prendere e andarsene. Cambiando velocità quando sembra impossibile. Facendo una cosa incredibile subito dopo averne fatto una ancora più incredibile. Superando i limiti dopo averli già superati qualche secondo prima. Perchè quando credi che abbia raggiunto il massimo dell’accelerazione, Leo Messi innesta la marcia superiore e se ne va, di nuovo. Ha sempre una marcia superiore, Leo. Nascosta, chissà dove. Il suo segreto è che fa a velocità tripla cose che altri non riescono a fare allo slow motion. E lo fa come se fosse la cosa più semplice del mondo, quella più naturale.

Il problema è che per lui lo è per davvero. Perchè essere Leo Messi significa guardare il mondo dal basso verso l’alto, ma riuscire a dominarlo. Perchè essere Leo Messi significa diventare Re, anche senza essere dei giganti. Essere Leo Messi significa vedere il mondo da 170 centimetri (statistiche alla mano, ma potrebbero essere anche di meno) e fregarsene, dominando lo stesso.

Molti dicono che la forza di Leo risieda nelle sue caratteristiche fisiche. Quello che sembrava un handicap quella che sembrava una malattia, trasformata in un punto di forza. E forse è proprio per questo che Leo ha imparato presto a dribblare i giganti, a fuggire in velocità a difensori troppo ansiosi di randellarlo, a medianacci e terzinacci che desideravano lasciare un segno del loro passaggio.

Una disfunzione ormonale, una malattia difficile da sconfiggere, senza le giuste cure, ma anche senza la giusta testa, senza la giusta forza di volontà. Una disfunzione ormonale che ha aiutato Leo a capire come fare le cose. Abbassando la testa e scappando, in velocità, inventandosi sempre qualcosa di nuovo, tirando fuori ogni volta un coniglio diverso dal cilindro.

Certo, direte voi. Facile quando arriva il  Barcellona a 17 anni. Per ogni Leo Messi che ce l’ha fatta, ci sono centinaia di ragazzi che non ce l’hanno fatta, che hanno dovuto continuare a scappare da soli. Ma è proprio la storia di Leo Messi che deve essere l’esempio per chi deve scappare da qualcosa, per chi si trova ad affrontare qualcosa più grande di lui. Alzare la testa, combattere, fuggire via in dribbling, cercando un modo per essere più veloce dei problemi.

Essere Leo Messi adesso, forse, è la sensazione più bella del pianeta. E’ diventarlo che non deve essere stata una passeggiata.

Valerio Nicastro
twitter: @valerionicastro