Diego Perez: el Ruso che ci ha rubato il cuore
Storie di calcio Agosto 22, 2014 delinquentidelpallone 0
Una delle icone, per meglio dire un padre putativo, di noi Delinquenti è senza dubbio Diego Perez. E’ stato facile innamorarsi di uno che vive il gioco del pallone proprio come lo viviamo noi, col cuore. E’ stato facile innamorarsi di uno che non non molla mai, fosse anche l’ultimo minuto della partita con la squadra sotto di 3 reti.
Non c’è niente da fare, Diego Perez ci nasci, non lo diventi. Ci nasci e ti porti dentro quella garra charrua, tipica di chi è nato a Montevideo e dintorni. E non te ne liberi più, quasi fosse impressa nei cromosomi.
“Ruso Ruso Ruso Ruso” si sente echeggiare dalla curva Bulgarelli, all’ennesimo recupero del pallone da parte del mastino uruguaiano. Diego, con un cenno della mano ringrazia la sua Bologna, quella che lo porta nel cuore ogni volta che indossa gli scarpini e si batte per i propri colori. Difficile veder trasparire grandi emozioni, in quel volto pallido e dai tratti decisi.
“Sembri un russo quando corri“. Dalle parole della madre Stella nasce il suo soprannome, El Ruso. Sì, perché sotto sforzo le guance di Perez si tingono di rosso, conferendogli quei tratti somatici del guerriero che Lombroso seppe tratteggiare così bene a suo tempo. Il suo esordio in patria avviene con la casacca del Defensor Sporting.
Non è il Diego Perez che conosciamo oggi, calcisticamente parlando. Certo, corre, si batte, sgomita. Ma segna anche, in due delle quattro stagioni giocate da titolare nella squadra di Montevideo realizza quattro reti. In totale sono 12 goal realizzati, è vero non un’enormità in senso assoluto, ma se pensiamo che oggi piuttosto che tirare si farebbe amputare entrambi gli arti, è un dato a suo modo clamoroso.
Proprio la completezza del suo gioco agli esordi fa luccicare gli occhi degli acerrimi rivali cittadini del Penarol, la squadra più titolata d’Uruguay. Viene tesserato per i gialloneri che giocano al Centenario, ma in questo fortino della Delinquenza disputerà soltanto 13 partite prima di volare in Europa chiamato dal Monaco, fresco sconfitto nella finale di Champions.
Il primo anno in Francia è duro, tante le differenze tra due mondi opposti, due modi di vedere il calcio e la vita così distanti. Ma Diego non si scoraggia, si mette subito a disposizione e la sua posizione in campo viene arretrata.
Nella stagione 2004-2005 al Monaco arriva Guidolin. Capisce ben presto che non si può fare a meno di uno come Perez, di uno con il suo senso della posizione da piazzare davanti alla difesa.
Ora provate voi a passare, se siete in grado. El Ruso Perez corre tanto, si batte su ogni pallone ed è pronto a dar man forte a qualsiasi suo compagno in difficoltà, in qualunque zona del campo esso si trovi. Per Diego correre non è mai stato un problema, anzi spesso il troppo prodigarsi per il compagno gli ha levato quella lucidità che ne avrebbe fatto il centrocampista totale. In Francia resta per 6 stagioni, assaporando anche l’aria della Champions League per 8 volte.
Ma la terra transalpina non lo soddisfa appieno, Diego vuole un paese più simile alla sua terra natia. Vuole giocare in Europa e nello stesso tempo sentirsi a casa. Ed eccolo quindi approdare in Italia. Zamparini cerca in tutti i modi di portarlo a Palermo, ma Diego sceglie le due torri e sbarca così a Bologna.
Qui raggiunge due suoi connazionali, Migel Angel Britos e Jimenez ai quali, nel mercato invernale, si aggiungerà Gaston Ramirez. Qui si sente a casa. Gli bastano un paio di allenamenti a Casteldebole per entrare nel cuore della gente, che vede in lui il guerriero da incitare ogni maledetta domenica.
E’ vero, c’è Marco di Vaio che la butta dentro quasi sempre, ma l’impressione di molti è che i rossoblu vadano dove li porta Diego Perez. La mediana con Mudingay , a livello di quantità, di caviglie sbriciolate e polpacci assaliti ha ben pochi eguali. Quando sono in forma fisicamente non si passa, se non mettendo a serio rischio la propria incolumità. Li vedi arrivare da tutte le parti e, se sei un avversario, non è un bel vedere.
El Ruso corre e gioca per 2, va a recuperare il pallone in difesa e fa ripartire l’azione. Non chiedetegli anche di fare goal. Non a Bologna. Il tabellino recita 101 partite disputate in rossoblu e zero reti realizzate. Ma a noi importa forse qualcosa? Anzi, ciò lo rende ai nostri occhi malati ancor più speciale.
Non possiamo non ricordare con l’amaro in bocca il finale della scorsa stagione, quando per dissidi con l’allenatore Diego Perez è finito ai margini della rosa. Nessuno ci toglierà dalla testa il pensiero che, se ti stai giocando la salvezza, in trincea uno come Perez lo vuoi sempre dalla tua parte. Ma è acqua passata, e abbiamo ormai imparato ad accettare di restare spesso dalla parte sbagliata della storia.
Per quanto riguarda il capitolo nazionale, Perez è quello che si può definire a tutti gli effetti un pilastro. Anche qui, l’ultimo mondiale ci ha riservato solo amarezze con il nostro eroe costretto da Tabarez alla panchina perenne. Avremmo venduto le nostre madri/mogli/fidanzate per una mediana a tre: Egidio Arevalo Rios, Walter Gargano, Diego Perez.
Con la maglia celeste ha disputato 4 edizioni della Copa America (vincendola nel 2011) e due mondiali (quello in Sud Africa vissuto da protagonista fino alla semifinale). Nella Copa America vinta del 2011 c’è il suo marchio indelebile, nella partita più importante per un Uurguayo, quella contro l’Argentina. In 39 minuti, tanto durerà la sua partita, c’è tutto Diego Perez.
La celeste picchia come se non ci fosse un domani con El Ruso a menar le danze, anzi a menare e basta. Prende un primo cartellino giallo ma continua indomito, come se nulla fosse. Nel frattempo il suo istinto gli dice che su un calcio piazzato deve andare là, nella mischia, posto tanto caro ai Delinquenti. Cavani colpisce di testa, Romero respinge e Diego, non si sa bene come, in scivolata realizza il goal del vantaggio (primo goal in nazionale, oltre al resto).
A questo punto un giocatore normale si gestirebbe, con la propria squadra in vantaggio ed un giallo sul groppone. Non ditelo a lui, che conosce solo e soltanto un modo di giocare al pallone, quello di azzannare l’avversario non appena si impossessa di quella sfera in cuoio. Così succede che Gago si impossessa del pallone , vuole ripartire velocemente e viene abbattuto da una spallata del Ruso.
No se puede jugar al fútbol con tanta faltas. la voce laconica del telecronista albiceleste accompagna l’uscita dal campo del gladiatore, con ancora tutto il secondo tempo da giocare. L’Argentina pareggerà nel secondo tempo, ma ai rigori sarà la compagine allenata da Tabarez a spuntarla.
Una cosa sola prima di congedarci: non chiedeteci di essere obiettivi con Perez, per favore, non ci riusciremmo. Ci ha rubato il cuore tempo addietro e glielo lasciamo volentieri.
Paolo Vigo
twitter: @Pagolo
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